giovedì 13 marzo 2014

Che cosa è la Chiesa?

A un anno di distanza dall'elezione di Bergoglio al soglio Pontificio, giunge per i cattolici un motivo di dibattito e di turbanmento, specie per quella fetta di cattolici osservanti che in qualche modo possono essere definiti intransigenti.
Papa Francesco coglie al volo una dichiarazione del Cardinale Kasper, affermato teologo, che in una dichiarazione apre le porte della Chiesa ai divorziati.
La novità non è che una tale dichiarazione venga dal Papa, che più volte ha dichiarato la sua apertura per divorziati e omosessuali, considerando anche il fatto che ormai siamo assuefatti ai suoi gesti semplici e poco protocollari, quanto il fatto che, tale dichiarazione di apertura arrivi dall'interno della Curia.
Fino ad oggi i divorziati che hanno contratto nuove nozze con rito civile non possono accedere al sacramento della comunione anche se, come fatto notare diverse volte, moltissimi parroci concedono tale sacramento indistintamente anche se sono a conoscenza che la loro parrocchia è frequentata da divorziati.
Non si tratta di discutere sull'ennesima apertura inaspettata di Bergoglio su un tema piuttoisto che su un altro quanto di capire,  cosa sia la Chiesa di Roma.
Essa è una Istituzione fortemente identitaria disponibile  al dialogo con il mondo secolare, fermo restando i suoi principi e i suoi valori di insegnamento, oppure una congregazione di fedeli, che in taluni casi è disposta a mettere in discussione i suoi stessi valori e i suoi stessi principi per cui è semopre esistita da duemila anni?
Se è vero che la Chiesa appartiene alla prima categoria essa ha ragionevolmente il diritto di dialogare con il mondo secolare, che però muta opinioni e modi di intendere le cose al pari di come cambiano tempi e stili di vita. Il dialogo non significa e non può significare il mercanteggiamento di certi principi e concetti quali il peccato in nome del mutamento dei tempi e di una forzata apertura della Chiesa su tali concetti mettendone addirittura in dubbio il suo valore che è inoppugnabile in quanto esso appartiene all'insegnamento primordiale dei primi apostoli cristiani.
Se invece la Chiesa appartiene alla seconda categoria, essa allora non è che una mera congregazione di fedeli disposti ad accettare supinamente il fatto che i vertici ecclesiastici siano propensi a rivedere masscciamenti concetti ineccepibili come il peccato e i valori che la Chiesa stessa ha insegnato per oltre duemila anni, piegandosi con la scusa risibile, agli occhi di un vero credente, che la Chiesa dev e adattarsi ai tempi si e anche adattare il concetto di peccato e il caravanserraglio di valori spirituali ad essi connessi.
La cosa stupefacente è che una tale apertura, arrivi da un affermato cardinale teologo e non tanto per il semplice fatto di una apertura che sarebbe ben vista dal mondo secolare, quanto e specificatamente, quello di far passare come non più grave per via di un adattamento ai nuovi tempi, del concetto di peccato riferito a quella categoria di divorziati a cui la Chiesa rifiuta il sacramento della comunione.
Certamente Dio vuole la salvezza del genere umano come sempre dichiarato dalla Chiesa e dai primi apostoli cristiani rifacendosi agli insegnamenti di Gesù, la cosa invece che dovrebbe essere riaffermata è che non solo in nome del dialogo e dell'apertura non è messo in discussione il concetto di peccato di contrarre nuovo matrimonio civile se divorziato, ma anche il fatto che la Chiesa ha il preciso compito di indicare ai suoi fedeli la strada per la redenzione e non l'obiettivo di bandiera di passare un leggero colpo di spugna sul concetto inoppugnabile.
insomma il peccato, se di peccato si tratta, lo è sempre e il dialogo non significa adattarsi al mondo secolare quanto sperare che quest'ultimo si adegui ai valori e ai principi della Chiesa, se all'interno del mondo secolare, ci sono persone decise a seguire anche gli insegnamenti della Chiesa e della parola del Vangelo.
Se anche la Chiesa e i suoi vertici entrano nell'ordine di idee che il macchiarsi di peccato nel diventare agli occhi del clero, bigamo (perchè di questo si tratta), e che tale peccato può essere risolto bofonchiando qualche Gloria al padre, allora si mette davvero in discussione non solo tale concetto ma anche tutto il resto aprendo la strada per nuove revisioni come a dire "Quello che fino a oggi era un peccato mortale e gravissimo agli occhi della Chiesa e che essa condannava ferocemente, da oggi è considerato un errore veniale per cui basta un piccolo periodo di riflessione e qualche preghiera per ottenere il perdono" Insomma in pochi anni si cancellerebbero duemila anni di valori e principi con la conseguenza che il relativismo si intronizzi definitivamente.
La domanda sorge spontanea, è davvero giusto rivedere un tale concetto inoppugnabile, e il dialogo significa implicitamente anche mettere da parte le proprie convinzioni e porgere una arrendevolezza un tantino imbarazzante? Motivo in più il fatto che uno dei due interlocutori è la stessa Chiesa che ha validissime e granitiche argomentazione nonchè solidi valori almeno sulla carta.
Agli occhi un credente osservante un peccato è tale sempre e non in base al mutare dei tempi e in base al dialogo col mondo secolare, un bigamo è tale e se esso vuole redimersi la Chiesa ha il compito specifico di indicare la strada per la redenzione non certo quello di cancellare il peccato o diminuirne la portata.

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